Pensione anticipata per le mamme: l’Inps dice no. Ecco perché

mamma con passeggino

L’Inps boccia senza tanti giri di parole la proposta di pensionamento anticipato per le mamme lavoratrici. Secondo il presidente dell’Inps Tito Boeri, infatti, la questione delle mamme lavoratrici non la si può risolvere come si sono sempre risolti problemi simili, e cioè con il pensionamento anticipato: le mamme devono poter lavorare e realizzarsi dal punto di vista lavorativo, più che smettere di lavorare prima degli altri.

Il diritto al lavoro e alla carriera, infatti, verrebbe di fatto negato se consentissimo loro di uscire prima del tempo dal mercato del lavoro.

La proposta, inizialmente avanzata da Cgil, Cisl e Uil, prevedeva l’uscita anticipata per le mamme lavoratrici per un massimo di 3 anni. Ma Boeri ha risposto: “Bisogna evitare scorciatoie perché il problema delle donne che lavorano è quello di una forte discontinuità della loro carriera lavorativa. Quindi semmai dovrebbero, potendo, lavorare più a lungo, anche per avere poi diritto a percepire assegni più alti”.

Secondo Boeri, in sostanza, il problema delle donne che lavorano va risolto mettendo mano alla questione asili e scuole, ai casi di datori di lavoro che obbligano le neomamme alle dimissioni, al discorso assistenza che si è già cominciato a concretizzare mediante voucher vari e, ovviamente, anche al rafforzamento del congedo di paternità che allevierebbe il carico della genitorialità attualmente concentrato tutto sulla donna.

“In quasi tutti i Paesi, le ore lavorate in casa e fuori casa da uomini e donne si equivalgono. L’Italia è l’unico Paese in cui le donne che lavorano cumulano un numero molto più elevato di ore rispetto agli uomini”, ha aggiunto Boeri. Insomma, no al pensionamento anticipato per le mamme lavoratrici, ma sì a interventi da varare ad hoc per il mercato del lavoro delle donne.

I sindacati però insistono: “L’anticipo pensionistico – ha risposto Roberto Ghiselli della Cgil – non sarebbe mica un obbligo, ma solo una facoltà da garantire alle donne e a chi svolge lavori di cura, e non sarebbe certo causa di licenziamento per le aziende”.

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