Il primo romanzo della storia è stato scritto da una madre.

13Lo sapevate che il primo romanzo psicologico è stato scritto da una donna? E che tutto il leit motiv del personaggio principale ha a che fare con la madre?
Il primo romanzo, o meglio quello che secondo i critici letterari è il primo romanzo psicologico, è giapponese e lo ha scritto una donna. Mi riferisco al “Genji Monogatari”. Il termine monogatari vuol dire racconto. Alla lettera si intende “racconto di cose” e quindi romanzo. Il titolo tradotto in italiano è “I racconti di Genji”. Alcune volte lo possiamo trovare con la traduzione invece di “I racconti del principe splendente”. Sto parlando di Murasaki Shikibu. Dell’autrice non si conosce molto. In realtà il suo nome non era nemmeno Murasaki e lo stesso vale per il cognome. Musaraki vuol dire viola in giapponese. Per il cognome invece, Shikibu, è una carica politica, che si può tradurre con Maestro Cerimoniere. Probabilmente preso dalla carica che aveva a corte il padre. L’ipotesi più probabile sull’identità della scrittrice sembra quindi quella di Fujiwara Takako, la figlia appunto del Mastro cerimoniere. Chiunque sia stata la nostra scrittrice rappresenta un vero fiore raro e una donna di straordinario talento, unica nel suo genere. Provate a pensare a quante fossero le donne che nell’epoca Heain potevano vantare di avere un’istruzione ed essere capaci di creare un’ opera come il Genji divisa in ben 54 libri e 1100 pagine. Davvero poche.

Il periodo storico.

Ho parlato poco fa dell’epoca Heian e una spiegazione è dovuta. Il calendario Giapponese antico veniva diviso in periodi storici, in base ad avvenimenti precisi. Quindi quando il periodo storico cambiava, la numerazione degli anni ricominciava. Il periodo va dal 794 al 1195 e l’opera fu cominciata più o meno nel 1001. Quindi mentre in Giappone, un paese fortemente maschilista, la nostra Murakami gettava i primi passi verso il primo romanzo della storia. In Europa, invece, eravamo nel medioevo. Nell’epoca Heian i nomi delle donne non venivano registrati, ma si usavano soprannomi, legati soprattutto ai padri. Per questo forse Shikibu. La situazione della nostra scrittrice era molto particolare. Visto che apparteneva alla corte, viveva isolata dal mondo esterno. La nobiltà in questo periodo si isolava sempre e si creava il proprio universo, fatto soprattutto di attività artistiche. Chi non sapeva mantenersi al passo coi tempi e le mode, perdeva di popolarità. Tale perdita, per molte donne, diventava spesso una tragedia. Il dover intrattenere diverse relazioni amorose così come il dover essere sempre in competizione con le altre, per molte diventava una forma di stress tale che portava alcune di loro a morire di inedia, di apatia o di depressione. Nell’esternare i propri sentimenti, le dame dovevano trattenersi. Quando avrebbero voluto reagire, dopo l’ennesimo tradimento, dovevano contenersi e piangere tra le maniche del vestito, come si usava dire. Questa situazione viene ripresa nel testo in maniera molto approfondita.

Pennello e inchiosto per scrittura

Pettegolezzi.

Murakami si sposò con il cugino, molto più grande di lei dal quale ebbe una bambina. La maternità fu un momento importante per la nostra scrittrice, in quanto tutta la spinta della vita di Genji e delle sue avventure nasceranno dal rapporto con la madre. Dopo il matrimonio, lei restò a casa del padre, dove il marito, ogni tanto, le “faceva visita”. Il cugino/marito aveva già una quantità enorme di altre concubine e un numero non meglio precisato di figli. La situazione era tranquilla per Murakami, in quanto tutte le “altre” venivano dopo la prima moglie, che nessuno poteva spodestare. La situazione era tranquilla dal punto di vista materiale, ma da quello personale e emotivo, un vero tormento. Peggio ancora per le concubine, che oltre ad avere il tarlo della gelosia avevano anche una paura quotidiana di essere abbandonate e quindi finire ai margini della micro-società che la corte aveva creato. La pressione, gli intrighi e i sotterfugi, erano all’ordine del giorno. Le donne della corte si facevano la guerra in tutti i modi e con tutte le arti che conoscevano. Murasaki, oltre ad avere nemiche le varie concubine, aveva anche rivali nella scrittura. Tra queste vi era l’altro astro nascente della scrittura femminile dell’epoca, Sei Shonagon. Tra le due non correva buon sangue in quanto venivano messe contro appositamente, come in una sfida di intelletti, a colpi di poesia e scrittura. Alla fine della storia Murakami ne esce vincitrice, in quanto Sei Shonagon finisce ai margini e per l’epoca voleva dire la morte sociale.

Il primo romanzo della storia.

Il “Genji monogatari” parla della vita di un principe. Uno dei figli realmente esistiti dell’imperatore e delle sue avventure amorose. Il nostro Genji aveva una profonda sensibilità, ma proprio non riusciva a stare in casa di una sola donna per troppo tempo. Era più forte di lui. Non dimentichiamo, che sia per le donne che per gli uomini, vigeva una certa libertà di avere più amanti. Il nostro Genji sembra quasi soffrire di questa ricerca continua di donne, ma il desiderio è troppo forte. Il principe non faceva parte della casata principale. La madre, con cui si era unito l’imperatore era una concubina e per di più di basso rango, ma come tutte le storie che si rispettino, era di una bellezza senza pari. L’imperatore se ne invaghisce e la fa sua. Il problema comincia quando il principe perde la madre ancora bambino. Viene a mancare quando quest’ultima era “sulla cresta dell’onda” e tutti ne decantavano la bellezza. Genji cerca in tutte le donne quest’immagine idealizzata della madre, di una donna perfetta. Tutta l’opera narra le emozioni e le introspezioni, così come le avventure galanti del principe. Soffermandosi molto approfonditamente sulla situazione emotiva del principe, delle donne e madri che incontriamo nel romanzo. La storia è di grande interesse, non solo per conoscerne l’epoca, ma anche per comprendere il cuore e l’anima di molte donne della corte.
Un libro fondamentale nella letteratura mondiale.

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